Chiese

Nel Settecento un facoltoso imprenditore edile, Carlo Francesco Pizzoni attivo a Torino, fece erigere al centro del paese l’oratorio del Beato Simonino, ora dei SS Innocenti, tuttora esistente, a suo tempo corredato di una ricca dote. Sembra che la scelta di questa figura (un bambino del cui assassinio fu accusato un gruppo di ebrei, storia poi accantonata) non fosse stata dettata da spirito antigiudaico, ma piuttosto per il fatto che il padre di Simonino era un conciatore di pelli, cosa che si accorderebbe con la dedicazione della parrocchiale a San Bartolomeo, patrono dei cuoiai

La chiesa è situata su uno sperone al di sopra della carrozzabile che corre lungolago: quest’ultima fu costruita negli anni Trenta del secolo scorso – prima di allora per recarsi da Oria a San Mamete si era costretti ad attraversare Albogasio inferiore, risalire il poggio della chiesa, ridiscendendolo dall’altra parte per una mulattiera di 120 gradini, detta “la Calcinera”.

Il lato esterno sud della chiesa, affacciato al lago, reca ben visibili sette stemmi di altrettanti vescovi milanesi che visitarono la Valsolda, feudo vescovile dal Medioevo all’Eta’ napoleonica.
L’edificio fu costruito a tappe tra la seconda metà del ‘500 e la prima metà del ‘600. La decorazione interna fu praticamente rifatta nel 1918.
L’impressione che desta l’interno è quello di una festa di forme e colori. Nell’insieme della decorazione scultorea e pittorica, opera di artisti locali, risaltano le molte deliziose figure di Angeli e sopratutto di putti , rappresentate negli atteggiamenti piu’ svariati e birichini. Bello anche l’effetto illusionistico delle finte architetture che incorniciano gli affreschi delle cappelle laterali.

La chiesa di Albogasio Superiore è dedicata a S. Ambrogio, la sua costruzione è databile al XV o XVI secolo.

Anch’essa modificata intorno al 1500, all’interno viene affrescata da Stefano Vignola nel 1680, con opere raffiguranti la storia del santo.

La chiesa di San Nicola è la piu’ piccola di Valsolda. La dedicazione a questo Santo risulta naturale per il fatto che è da sempre considerato il protettore della gente che utilizza le vie d’acqua.. Secondo la leggenda il suo corpo fu trafugato e trasportato via mare dall’Oriente a Bari. Una sua piccola statua con in mano lo stipetto delle elemosine si trova sul muro esterno sud, entro una nicchia.

L’interno, modesto, presenta nel presbiterio alcuni affreschi interessanti: San Nicola ordina la distruzione di un tempio pagano, con un San Nicola stranamente somigliante a San Carlo Borromeo; Due preti, in barca con un’anfora d’olio, sono colti da una tempesta scatenata dal diavolo nelle sembianze di una donna; i due pregano San Nicola (in alto, su una nuvoletta) di soccorrerli; seguendone il consiglio rovesciano l’anfora nel lago: invece dell’olio ne escono tanti diavoletti neri, e la situazione si normalizza.
Affacciate alla veranda sulla strada sono tre ragazze che il padre non riesce a sposare perchè non ha i soldi per la dote, e che quindi vuole mandare a prostituirsi. Passa il Santo e getta sul davanzale una borsa di monete. La scena è molto fresca e vivace.
Dalla parte superiore del paese una strada, proveniente da Loggio, porta al cimitero e all’antistante Oratorio di San Carlo, eretto in occasione della canonizzazione dell’arcivescovo. Oltre l’Oratorio la strada continua fino a Cima, un tempo lembo estremo della Valsolda, “La Cima” appunto.

Il grazioso e devoto Santuario della Madonna della Caravina si trova sulla strada che collega Lugano e Porlezza, sulle rive del Ceresio.

Il Fogazzaro nel “Piccolo Mondo Antico” ha cantato in modo romantico, la bellezza poetica del posto dove sorge il Santuario, proprio al limitare della Valsolda, l’unica terra d’Italia che seppe per oltre un millennio, custodire inviolata la libertà e l’indipendenza. Dai tempi di Carlo Magno fino al 15 Maggio 1783, quando fu dolorosamente annessa all’Austria, la Valsolda si resse sempre a libero Comune sotto l’alta sovranità dell’Arcivescovo di Milano che tuttora porta il titolo di “Signore della Valsolda”.

Nel punto dove, fra il verde chiaro degli ulivi e quello più cupo dei cipressi, biancheggia il Santuario e dove il monte sembra protendersi sul lago quasi a contemplarne la severa bellezza, esisteva fin dagli inizi del 1500 una rozza cappelletta campestre che aveva dipinta sullo sfondo la Madonna Addolorata con Gesù morto sulle ginocchia.

Nel 1530, un fuoriuscito valsoldese, sfuggito alla giustizia, aveva potuto salvarsi varcando il confine italo-svizzero. Arrivato alla cappelletta della Caravina, le autorità sanitarie della Valsolda lo sottoposero per misura precauzionale ad una rigorosa quarantena. Purtroppo il poveretto era infetto da peste bubbonica. Consunto dall’inedia e rifuggito da tutti, l’infelice passava le lunghe ore della giornata all’interno della cappelletta a domandare conforto a Colei che i Padri della Chiesa chiamano “Pubblico Ospedale dei poveri peccatori”. Un giorno vide in sogno la Madonna della Caravina, prendere vita, avvicinarsi a lui e fargli quello che il Buon Samaritano fece al viandante di Gerico. Svegliatosi, s’accorse d’essere guarito. Il sogno era diventato realtà.Pochi anni dopo accadrà il miracolo che darà origine al Santuario odierno.

La chiesa di San Bernardino è l’unica in Valsolda ad avere tre navate. Originariamente intitolata ai SS. Giovanni Battista e Stefano (riprodotti sulla facciata ai lati del portale), fu dedicata a San Bernardino da Siena in occasione della sua canonizzazione, avvenuta nel 1450. Pochi anni prima il Santo aveva predicato sia a Como che a Lugano.
Anche nel caso di San Bernardino il cimitero fu spostato fuori dall’abitato sulla via per San Rocco, cappelletta eretta sul sentiero utilizzato per raggiungere gli alpeggi.

Come tutte le chiese di Valsolda anche la chiesa di Castello, situata all’inizio ovest del paese, è stata totalmente rifatta nel XVI sec. con inversione dell’orientamento, in modo da creare piu’ spazio davanti alla chiesa e facilitare cosi’ l’ingresso alle processioni, molto frequenti a quei tempi. Il cimitero antistante l’antico ingresso fu spostato al di là del paese, all’uscita verso Puria.

La dedicazione a San Martino risale al dominio dei Franchi (IX sec.) devoti a questo Santo che fu vescovo di Tours; mentre si ritiene che precedentemente la chiesa fosse intitolata a S. Giovanni Battista, Santo venerato dei Longobardi (VI-VII sec.) e al quale tuttora é dedicato un altare.
L’interno a navata unica offre uno spettacolo eccezionale grazie al soffitto (fine ‘600) voltato e affrescato da Paolo Pagani, pittore originario di Castello, al suo ritorno da una lunga permanenza nel Centroeuropa. I temi da lui trattati si raccordano ai soggetti delle sottostanti pale d’altare preesistenti, dando luogo ad una composizione complessa, dedicata alla vittoria del cristianesimo sul paganesimo, della fede cattolica sulle eresie.
La tematica della volta è anche legata a vicende personali del Pagani, e alla storia di Castello, nel medioevo rifugio dei Catari, gruppo di eretici combattuti dalla chiesa di Roma, e nel ‘600 particolarmente esposta all’influsso della Riforma protestante proveniente dalla vicina Svizzera.

La chiesa di San Bartolomeo, fondata nel 1362, è situata a metà strada tra le frazioni di Loggio e di Drano su un’altura che sovrasta la valle del Soldo, in modo da essere equidistante dai due abitati. Accessibile dalla via che continua per Puriatramite una doppia mini-rampa di scale, la chiesa subi’ varie ristrutturazioni, di cui l’ultima nel 1736, quando fu eretta la nuova sacrestia e rialzato il campanile in cima al quale fu posta una sfera, dorata con oro zecchino proveniente da Torino.
La dedicazione a San Bartolomeo implica, si ritiene, un legame con l’attività di concia delle pelli di cui San Bartolomeo é il patrono: secondo la tradizione il Santo subi’ il martirio della scorticazione, e veniva spesso rappresentato con addosso,  come fosse un mantello, la propria pelle (vedi ad esempio la famosa statua di San Bartolomeo nel Duomo di Milano).
Sulla controfacciata, grande affresco con il “Trionfo dell’Eucaristia”, tema molto attuale in quell’epoca perché la riforma protestante aveva soppresso questo sacramento. L’autore dell’affresco, Gian Battista Pozzi, aveva preso per modello un famoso arazzo del Rubens (celebre pittore del ‘600) sullo stesso soggetto, esistente a Torino presso la corte dei Savoia.
Sopra il 1° altare a sinistra vi è di nuovo la Sacra Sindone detta nel linguaggio popolare “il Santo Sudario”, per il quale si celebrava la messa il giorno 4 maggio.
La 2° cappella a destra, detta “dei Morti” in quanto istituita dall’omonima antica confraterita, rimanda all’Ossario situato al lato dell’accesso al sagrato, riccamente affrescato ma in pessime condizioni, e alla tappezzeria funebre, costituita da 12 teli neri rettangolari dipinti in argento e colori:  vi sono rappresentati altrettanti scheletri avvolti negli abiti che ne caratterizzano il ruolo mondano. Questi paramenti non vengono piu’ esposti, mentre il giorno della Festa di San Bartolomeo (agosto) si possono ammirare i preziosi paramenti in damasco rosso ricamati in oro zecchino, dono della famiglia Mossini.
Sull’altura affacciata al lago, a sud di Loggio oltre la conca cosidetta di “campó”,  si situa il cimitero e, accanto ad esso, la cappella dedicata a San Carlo, eretta in occasione della sua canonizzazione (1610).

La chiesa è a navata unica, la pala dell’altare maggiore rappresenta il martirio di S. Sebastiano ed è opera dello storico valsoldese Carlo Barrera autore del libro: “Storia della Valsolda” del 1864. Barrera fu storico, pittore, architetto e anche poeta. Una lirica dedicata alla madre è inserita nel  suo monumento funebre presente in chiesa. A destra un grande affresco del 1944 ricorda la tragedia della seconda guerra mondiale.

La chiesa è a navata unica, la pala dell’altare maggiore rappresenta il martirio di S. Sebastiano ed è opera dello storico valsoldese Carlo Barrera autore del libro: “Storia della Valsolda” del 1864. Barrera fu storico, pittore, architetto e anche poeta. Una lirica dedicata alla madre è inserita nel  suo monumento funebre presente in chiesa. A destra un grande affresco del 1944 ricorda la tragedia della seconda guerra mondiale.

La chiesa di S. Mamete è dedicata ai santi Mamete e Agapito . Essa possiede un bel campanile romanico dell’XI secolo che un tempo era staccato dal corpo della chiesa.
Nella parte esterna dell’edificio si vedono i segni delle varie modifiche eseguite nel tempo. Sul lato che guarda verso il lago si notano affrescati alcuni stemmi di Arcivescovi milanesi, Signori della Valsolda. All’interno la chiesa presenta un’unica navata con quattro cappelle laterali. Dietro l’altare maggiore vi è un antico dipinto raffigurante la Madonna col Bambino e San Mamete, ma la visuale è ostruita dall’altare stesso. Sui due lati del presbiterio sono rappresentate due scene della vita di S. Mamete: la cattura effettuata dai soldati di Alessandro e la morte nella fornace, eseguiti dal pittore Salvatore Pozzi di Puria . Le cappelle a sinistra raffigurano: una pietà con S. Pietro martire e S. Domenico e nell’altra varie raffigurazioni dell’angelo custode . La cappella è un interessante esempio di pittura illusionistica.

Nelle cappelle a destra troviamo: un altare della Madonna e nell’altra una tela con lo sposalizio della Vergine . All’ingresso del sagrato, c’è un ossario sulla facciata del quale si intravedono decorazioni ormai scolorite.

Di origine romanica S. Maria Assunta fu totalmente rifatta nei sec. XVI-XVII. La grande navata unica che ne caratterizza l’interno, risulta particolarmente imponente se confrontata con il restante corpo dell’edificio. Cio’ è dovuto ai maestosi arconi addossati alle pareti laterali. Si ritiene  risalgano a un incompiuto progetto di ristrutturazione attribuito a Pellegrino Tibaldi detto “il Pellegrini”. Nato a Puria nel 1527, il Pellegrini fu grande architetto, oltreché pittore, al servizio di Carlo Borromeo arcivescovo di Milano, e fu insignito da Filippo II di Spagna, per il quale lavoró all’Escuriale, del titolo di Marchese di Valsolda. Controfacciata: ai lati dell’organo, due angeli affrescati in finto rilievo.
Cupola: decorata secondo i canoni dell’illusionismo prospettico allora di gran moda (‘700), ne risulta fortemente dilatata.
Lato sinistro: –  dipinto votivo, dedicato ai Santi della peste Sebastiano e Rocco, commissionato da Ottavio Callegari, mercante a Venezia;
–  cappella di S.Antonio Abate, Santo eremita guaritore dell’Erpes Zoster, malattia nota come “Fuoco di Sant’Antonio”. Di fianco, due figure importanti per la storia locale: una statua di San Lucio con il formaggio in mano, immagine tradizionale del Santo, patrono degli alpeggi; e San Pietro Martire, grande persecutore degli eretici, rappresentato in affresco nell’attimo della sua uccisione da parte di un sicario, inviato da Stefano Confalonieri, signore del Castello di Albogasio e protettore dei Catari; transetto con cappella dedicata a Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano e Signore di Valsolda, in occasione della sua canonizzazione (1610):  

  • al centro, San Carlo in preghiera davanti al Sacro Chiodo, reliquia del Duomo di Milano;
  • a sinistra, attentato a San Carlo da parte di un frate appartenente all’ordine degli Umiliati, ostile al Borromeo; lo si intravede, con l’arma puntata, alle spalle del personaggio in primo piano;
  • a destra, la Valsolda rende omaggio a San Carlo. In primo piano Don Domenico Pozzo, parroco di San Mamete , caudatario (cioé reggitore dello strascico) dell’arcivescovo;  in mano una “pezzuola da naso”. Architetture illusionistiche fanno da cornice alle scene, peraltro in pessime condizioni.

Lato destro:

  • cappella di Sant’Eurosia, figura importata dagli Spagnoli, nel Seicento signori della Lombardia; molto venerata dalle popolazioni rurali perché intercedeva a favore del sereno o della pioggia. I suoi attributi, corona, scettro e ermellino, ne indicano l’origine regale. La tradizione ne tramanda la decapitazione da parte dei Mori nella Spagna del VII sec.
  • Confessionale degli uomini, a cui si accede dal transetto destro attraverso una porticina. Vi si trova un affresco della Trinità, commissionato dal Pellegrini per il padre, e originariamente sul muro esterno sud, dove un tempo si trovava il cimitero. Inglobato in quel vano, cosi piccolo, fa sembrare immenso quel Dio padre che regge tra le ginocchia il figlio crocifisso.

Nel pavimento al centro della navata, lastra della tomba presunta del Pellegrini.